RISK AND DISASTER MANAGEMENT: LA CAPACITA’ DI RISPOSTA DELLE NOSTRE ORGANIZZAZIONI SANITARIE ALL’EMERGENZA COVID19

 
di Gianluca Lanza

L’emergenza COVID-19 ha largamente stressato il sistema sanitario nazionale soprattutto se pensiamo alla necessità di essere preparato per la gestione di un evento di tale dimensione e impatto. La capacità di risposta del nostro sistema a questa sollecitazione doveva nascere - sia a livello nazionale, sia a livello regionale, sia di singola organizzazione sanitaria - da due elementi ben definiti: i piani di risk management e quelli di disaster management. Entrambi questi piani sono strumenti operativi mirati alla gestione (o mitigazione) dei rischi per le organizzazioni sanitarie.

Abbiamo chiesto ad un gruppo di esperti (attraverso un'idagine per approfondire il comportamento organizzativo delle strutture sanitarie durante l’emergenza Covid) come vedono questi aspetti nelle organizzazioni pubbliche del nostro paese. La fotografia che emerge, seppur con differenze a macchia di leopardo, tipiche nel nostro sistema risulta però abbastanza chiara: gli strumenti formalmente in molti casi sono stati adottati ma la loro vera efficacia nella realtà si è rivelata diversa dalle aspettative[1].

I due strumenti meritano un approfondimento diverso, questo in ragione del fatto che sono presenti e in uso nel sistema da tempi diversi.


I PROGRAMMI DI DISASTER MANAGEMENT

L’efficacia dei programmi di Disaster Management è stata un punto debole in buona parte dei paesi del mondo, sicuramente in Europa. Nell’analisi svolta dal WHO emerge che la gran parte dei paesi del mondo ha sviluppato almeno un piano pandemico, anche se il livello di aggiornamento degli stessi varia tra paese e paese.

Il livello di efficacia nella risposta del piano pandemico è stato generalmente basso soprattutto perché molto spesso questo piano è rimasto sulla carta e al momento della sua applicazione le varie articolazioni dei sistemi hanno mostrato poca conoscenza dei meccanismi e della sua operatività. Le poche eccezioni fanno riferimento a quei paesi che negli ultimi anni hanno dovuto fronteggiare emergenze simili, anche se geograficamente più limitate, e hanno sviluppato quindi esperienza sul campo della loro applicazione (vedere Corea del Sud).

Cosa emerge se analizziamo la situazione italiana? Queste le osservazioni che sono state raccolte dal nostro gruppo di esperti:

1.       Piani diversi e non coordinati

Sicuramente un primo aspetto critico è legato allo strumento del piano, esiste un piano nazionale, esistono piani regionali ed esistono piani aziendali, non sempre questi piani si parlano, non sempre questi piani sono complementari tra loro e non sempre questi piani sono in grado davvero di rappresentare ciò che potrebbe succedere in caso di emergenza. La mancanza di coordinamento tra i vari livelli del sistema sanitario si rispecchia in programmi che presuppongono attività svolte insieme o da altri ma non si preoccupano di valutare la complementarietà delle azioni.

2.       Piani non realistici

I piani descrivono attività da svolgere e scenari talvolta molto lontani da quello che la realtà potrebbe prevedere; è necessario sviluppare modelli che prospettino scenari più realistici, anche alla luce delle esperienze in altri paesi, non dovendo aspettare che un evento emergenziale colpisca l’Italia e adattando le modalità di risposta alle caratteristiche del sistema. Testare i piani non può e non deve essere lasciato in secondo piano, ciò che si presuppone succeda sulla carta è spesso diverso da quello che una volta sul campo ci si trova a dover fronteggiare. Tutti, dalla direzione aziendale ai professionisti devono riconoscere il valore aggiunto dei test sul campo, che non possono restare relegati a noioso strumento burocratico che rallenta l’attività giornaliera quando si implementa.

3.       Carenza di competenze

Il piano in sé non rappresenta la soluzione del problema. La prevenzione è sicuramente un aspetto cruciale, ma è poi necessario che - al momento della risposta al bisogno -  la stessa sia calibrata, adattata alle caratteristiche dell’evento emergenziale.  Questo però richiede competenze cliniche, organizzative, relazionali che non sono al momento presenti. Non si parla di creare una nuova posizione, ulteriore sovrastruttura, ma di accogliere all’interno dell’organizzazione anche quelle competenze che potrebbero essere indispensabili al verificarsi dell’emergenza.


I PROGRAMMI DI RISK MANAGEMENT

Il Risk Management non è sicuramente un’area di nuova o recente introduzione all’interno del mondo sanitario italiano. Progetti, programmi e azioni con chiari riferimenti a questo tema sono ormai da anni al centro dell’attenzione. l risk management è oggetto di attenzione perché si riconoscono potenzialità dello stesso non ancora espresse. Emergono in particolare dalle nostre analisi alcuni aspetti critici:

1.       Attività che si concentra sul risarcimento dei danni

L’approccio al risk management nelle organizzazioni sanitarie, ma anche a livello regionale, è stato molto legato alla dimensione legale del problema (risarcimento danni) quasi come se fosse uno strumento più utile ex post che ex ante. L’orientamento delle organizzazioni al modo di approcciarsi al risk management è legato talvolta alle competenze di chi agisce quel ruolo. Emergono quindi approcci talvolta più clinici, talvolta più organizzativi, talvolta più medico-legali. Le azioni del risk manager all’interno delle organizzazioni non possono essere esclusivamente legate all’applicazione delle normative e direttive ma necessitano un approccio proattivo, la capacità di progettare modalità di leggere e rispondere al rischio che rispecchino anche le caratteristiche e le peculiarità delle organizzazioni.

2.       Alta frammentazione delle azioni

Manca una visione organica e prospettica che permetta di gestire (management) più che subire il rischio, mettendo in atto azioni preventive oltre che di risposta alle sollecitazioni ricevute. È necessario sviluppare competenze, legate al ruolo, che permettano di gestire il rischio a 360°, questo vuol dire anche sapere come mettere insieme competenze presenti nella rete del sistema e nella propria organizzazione per trasformare il processo di gestione del rischio in un processo condiviso e responsabilizzante. La gestione del rischio non può essere esclusivamente seguita dalla figura del risk manager ma è necessario creare delle sinergie di sistema mettendo in relazione competenze e responsabilità di chi si occupa di rischio nelle diverse parti dell’organizzazione. La gestione del rischio, a prescindere che la si guardi dal punto di vista della singola organizzazione o del sistema necessità coordinamento e non può essere efficace se i limiti che le si pongono sono quelli fisici dell’organizzazione. Il sistema risponde ai bisogni in maniera complementare (ospedale, territorio, …) e non esclusiva: le organizzazioni quindi devono costruire i loro programmi di risk management guardando alla complessità del sistema.

La sintesi di quanto sopra descritto, e la volontà di vedere e ricercare un miglioramento del nostro sistema, genera in noi un auspicio, che i politici e i loro tecnici possano in futuro essere in grado di:

- Costruire piani che risultino allo stesso tempo forti sia tecnicamente che organizzativamente attraverso il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze, dei ruoli organizzativi e del lavoro in team;

Implementare programmi di testing ed esercitazioni capaci da un lato di mettere alla prova i sistemi di risposta alle emergenze e dall’altro di generare competenze diffuse e sensibilità su queste azioni;

Dare evidenza dei risultati perché tutti i comportamenti dei vari attori siano sempre indirizzati al perseguimento degli obiettivi che i piani devono indicare.


[1] Ad esempio Regione Lombardia ha nel dicembre 2010 effettuato una valutazione delle attività messe in atto con il Piano Pandemico Regionale DEL 2006 per l’emergenza pandemica da virus A/H1N1 identificando le azioni previste e quelle realmente attuate ma tale analisi non è stato dato alcun seguito (Deliberazione IX/1046 del 22/11/2010 “Conclusione fase 6 pandemia influenzale da virus a/h1n1: valutazione e indicazioni operative)

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