Management nelle organizzazioni sanitarie. Quali caratteristiche di questo ruolo


All’incontro "Management nelle organizzazioni sanitarie. Quali caratteristiche di questo ruolo" hanno partecipato quattro manager che hanno ricoperto, negli anni, molteplici ruoli in molte organizzazioni. Persone ricche di esperienza nelle organizzazioni sanitarie, manager che hanno promosso il cambiamento e che hanno partecipato al cambiamento delle aziende sanitarie.

Sono:

  • Arcari Giuseppe con ruoli manageriali in aziende pubbliche e consulente nell’ambito della qualità;
  • Cencetti Stefano con ruoli manageriali in organizzazioni pubbliche e private;
  • Genduso Giuseppe con ruoli manageriali in organizzazioni pubbliche;
  • Ramponi Carlo con ruoli manageriali nell’ambito della qualità in sanità e nelle organizzazioni sanitarie private.

Cosa emerge dalla loro esperienza?

Quattro aspetti importantissimi per tutti.

  1. Le competenze sono fondamentali per essere credibili. Il management deve sostenere e promuovere la professionalità e la competenza. Premiare la competenza e favorire lo sviluppo professionale genera le fondamenta delle organizzazioni di successo.

  2. Il tema della motivazione è indispensabile. Il “metterci la faccia” è il primo modo per favorire la motivazione: definire obiettivi e condividerli, essere in campo e partecipi alle azioni, supportare e incoraggiare, promuovere innovazione e sostenere chi opera verso gli obiettivi.

  3. La “contaminazione” è essenziale. Non ci si deve richiudere nelle proprie prassi ma guardare “fuori dall’organizzazione”. Il management deve favorire questo orientamento. È negativo lamentarsi delle proprie condizioni, ma indispensabile ricercare soluzioni innovative anche attraverso il confronto con altre esperienze, con altre soluzioni.

  4. Fare squadra e mettere in comune. Non sono parole generiche ma uno stile di direzione. Non c’è “un uomo solo al comando”, ma una squadra. Non si vince soli.


C’è un problema soprattutto nella sanità pubblica: gli incarichi durano troppo poco. Occorre tempo per radicare comportamenti organizzativi. Sì, le organizzazioni hanno bisogno di cambiare e migliorare la loro performance e per questo il management deve svolgere un ruolo attivo e non burocratico e difensivo.

Certo, sembrano concetti semplici e condivisibili, ma in realtà "tra il dire e il fare” c’è molta distanza. I motivi sono tanti: situazioni molto complesse, norme che non facilitano l’azione manageriale e comportamenti politici non sempre orientati allo sviluppo organizzativo. Ma il management non può non avere una sua etica: migliorare l’organizzazione per realizzare prestazioni di qualità e senza spreco di risorse.

 

Quali sono le competenze necessarie per svolgere i ruoli manageriali in modo efficace? Quali sono quelle più critiche?  Per ruoli manageriali si intendono sia i ruoli manageriali strategici che sono stati ricoperti direttamente in prima persona, sia quelli necessari a far funzionare le strutture con cui ci si deve interfacciare (i responsabili di struttura complessa, per esempio).

 

Giuseppe Arcari

Prima di tutto, bisogna sottolineare il fatto che per ricoprire i ruoli di management servono moltissime competenze. Quelle più diffuse sono le competenze di natura relazionale, comunicativa e organizzativa. All’interno di queste ci sono aspetti più frastagliati; per esempio, è necessario che le relazioni e la comunicazione siano di natura bidirezionale: serve che ci sia un confronto attivo tra i partecipanti alla conversazione. Il manager deve saper parlare in maniera comprensibile, ascoltare, tenere a mente anche i problemi più complessi cercando di renderli più semplici.

Chi si relaziona con il manager ha bisogno di sentirsi ascoltato e la capacità di dare l’impressione di essere ascoltati (e ascoltare) è imprescindibile per un direttore generale, anche se può risultare molto faticosa.

Nell’ambito delle competenze relazionali, assumono una particolare rilevanza la partecipazione e della condivisione. Condividere e fare in modo che la decisione finale sia frutto di un lavoro di gruppo è una grande abilità. Ultimamente è molto ammirato il “metodo Draghi”, che consente si suoi interlocutori di avere la percezione di essere stati gli ultimi con cui si è confrontato e di essere stati presi in considerazione per la decisione finale, anche se poi l’ultima parola è la sua.

Le competenze organizzativo-gestionali, invece, vanno dalla programmazione delle attività, al sapersi confrontare con gli altri dirigenti. È un compito molto complicato, che spesso ricade sul management che si trova al di sotto della direzione generale, come i direttori di struttura complessa: devono da un lato raggiungere gli obiettivi che la direzione strategica affida loro, dall’altro motivare le unità operative che nel loro dipartimento fanno fatica a condividere gli obiettivi. È necessaria una grandissima abilità organizzativa affinché si possa trovare un equilibrio tra le richieste della direzione e la capacità di raggiungerle.

Un’altra competenza importante è quella della valutazione delle attività e del personale. Le attività dei collaboratori e/o dei servizi che sono stati affidati vanno valutare cercando di capire il perché di un eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi.

Per concludere, le competenze specialistiche e tecniche non vanno dimenticate. Sono utili perché nelle aziende che si occupano di sanità, a livello delle unità operative, è naturale che il manager ne abbia bisogno per ottenere una sorta di riconoscimento del suo ruolo manageriale.

 

Stefano Cencetti

Per capire quali sono le competenze richieste a un manager, bisogna avere bene in mente il percorso che è stato fatto a partire dalla svolta degli anni ’90 che ha permesso di introdurre meccanismi e sviluppare competenze di tipo amministrativo; a partire dalla contabilità direzionale, per poi passare alla programmazione. Sono competenze che devono permanere all’interno di un ruolo di tipo dirigenziale, di qualsiasi tipo e natura.

A più di 30 anni di distanza, il tema dell’amministrazione aziendale è una delle principali discussioni in quanto si è lontani dall’avere un controllo di gestione di contabilità direzionale bene preciso e chiaro, su cui poter poi impostare una programmazione. È come se si fosse tornati a prima degli anni ’90, quando non esisteva questo tipo di competenze di base.

Le altre competenze che si è provato a sviluppare nel corso degli anni riguardano il far comunicare la parte gestionale e amministrativa delle aziende con il personale sanitario. È necessario che queste due parti possano ragionare insieme. Gli obiettivi e le competenze che ci si deve dare riguardano il riuscire a far compenetrare le logiche di valutazione economica con le logiche di valutazione sanitaria attraverso una corresponsabilizzazione di chi si occupa di organizzazione e gestione insieme ai professionisti sanitari. Queste due dimensioni sono le facce di uno stesso obiettivo: garantire la migliore assistenza sanitaria possibile ai cittadini.

L’ultimo sforzo, in termini di competenze, è quello di orientare la struttura a competenze di project management, nella logica della conoscenza dei processi necessari per organizzare percorsi assistenziali che tengano in considerazione anche gli aspetti amministrativi.

È un percorso difficile che ha bisogno di una grande sensibilità e disponibilità alle relazioni, al dialogo e a una visione di sistema. Quindi, una grande capacità di adeguamento da parte dei dirigenti verso il “sopportare” punti di vista differenti.

 

Giuseppe Genduso

Ragionando sul tema delle competenze è inevitabile che venga alla mente l’aforisma della nave di Antoine de Sant’Exupéry[1]. Questo sottolinea che se si riempire la gente di procedure, senza prima spiegare l’obiettivo, questo difficilmente verrà raggiunto. Se l’obiettivo è condiviso, la macchina funzionerà meglio.

Il manager in sanità è specificamente chiamato a relazionarsi in questo modo in una organizzazione composta quasi esclusivamente di professionisti. Ci sono poi quattro regole[2] che permettono di raggiungere il cambiamento. Sono aspetti che in un’organizzazione di professionisti devono essere quotidiani, in quanto tutto cambia:

  1. Le persone devono sviluppare un desiderio di cambiare
  2. Devono sapere cosa fare e come farlo
  3. Devono poter lavorare nel clima giusto
  4. Devono essere ricompensate per lo sforzo verso il cambiamento.

Ognuno di queste dimensioni deve essere presidiata e governata attivamente dal manager, che vuole effettivamente ottenere un cambiamento positivo.

Tra le competenze necessarie, bisogna ricordare la consapevolezza, alla base di tutto, del ruolo di servizio in cui un manager è impegnato. Un manager serve l’organizzazione e la comunità (e non viceversa), indipendentemente dal fatto che si operi nella sfera pubblica o in quella privata.

È inoltre fondamentale avere una buona capacità di analisi della realtà e dei dati da applicare con un’adeguata esperienza. Un dirigente deve essere capace di fare delle sintesi e di occuparsi del project management, con un deciso uso della delega (intesa come capacità di mettere a capo di progetti i propri collaboratori) per promuovere la crescita a tutti i livelli dell’organizzazione. Deve essere sensibile verso la comunicazione e deve essere capace di motivare tutte le componenti professionali dell’organizzazione.

In estrema sintesi le competenze più critiche di un direttore generale (o manager sanitario in generale) risultano essere: la mancata consapevolezza del ruolo, la scarsa capacità di analisi della realtà e dei dati (con adeguata esperienza), la scarsa capacità di sintesi e di project management con deciso uso della delega, l’insensibilità verso la comunicazione e l’incapacità di motivare i professionisti.

 

Carlo Ramponi

Partendo dal basso, una delle prime competenze di un manager sono il saper scrivere, leggere e parlare. Solo successivamente diventano necessarie tutte le altre. Bisogna capire in quale ambiente si è arrivati, serve acquisire conoscenze precise della organizzazione nella quale si è chiamati ad operare. Una volta iniziata l’attività in una nuova struttura, è fondamentale saper avviare il lavoro con le risorse (umane in particolare) disponibili: non è sempre possibile scegliere  collaboratori che meglio rispondono ai propri criteri di valutazione.

Un buon direttore generale deve essere capace di produrre servizi utili, comprensibili, di soddisfazione per l’utenza e che garantiscano l’equilibrio dell’impresa. Occorre  coinvolgere tutte le persone nell’organizzazione, incentivando alla partecipazione e favorendo l’identificazione piena con l’organizzazione stessa.

Le competenze più critiche sono quelle di spiegare, farsi capire e di essere trasparenti nell’agire; non abusare della fiducia acquisita e mantenere la capacità di dare l’esempio. Sono elementi essenziali per essere credibili in un lavoro che ha valenze etiche e fondamenti culturali che sono alla base della nostra società.

 

DOMANDE:

  • Come si possono motivare anche i collaboratori che lavorano a livelli più bassi?
    Si risponderà con l’ultima domanda

  • Per Giuseppe Arcari. Cosa si intende con “competenze specialistiche”?
    In tema di management delle unità operative è importante che si abbiano delle competenze tecniche consolidate: il riconoscimento delle abilità tecniche specialistiche del “primario” sono un elemento che lo aiutano a svolgere il suo ruolo a tutto tondo. Il fatto che ci sia un riconoscimento dal punto di vista professionale aiuta a definire il suo ruolo come punto di riferimento per l’unità operativa.

 

Antonello Zangrandi

Queste riflessioni si possono collegare a tre temi che sono stati affrontati nel corso degli incontri precedenti.

  1. Il primo è il tema del project management. L’opportunità che deriva dal PNRR deve essere sviluppata e promossa dalle aziende sanitarie pubbliche e private per realizzare dei project management veri e nuovi.

  2. Il secondo è il tema della contestualizzazione: il manager è legato al contesto e alle caratteristiche dell’organizzazione in cui opera. Ci sono delle semplificazioni nel campo amministrativo che sono false: si ritiene che ci sia la capacità manageriale indipendentemente dal contesto. Invece, il buon manager deve saper svolgere il suo ruolo inserito nel contesto in cui si ritrova. Il contesto fa la differenza tra le diverse organizzazioni e il buon manager deve saperlo riconoscere.

  3. Infine, il terzo tema è quello del ruolo di servizio: il manager è a capo dell’organizzazione per ottenere i risultati. Il manager esiste perché c’è l’organizzazione. Se il professionista dipende dalle sue abilità specialistiche, la bravura del manager si vede da com’è l’andamento dell’azienda che dirige.
© 2016 - Università degli studi di Parma - Cookie Policy
Seguici su
Questo sito web utilizza i cookie
Utilizziamo i cookie per personalizzare contenuti ed annunci, per fornire funzionalità dei social media e per analizzare il nostro traffico. Condividiamo inoltre informazioni sul modo in cui utilizza il nostro sito con i nostri partner che si occupano di analisi dei dati web, pubblicità e social media, i quali potrebbero combinarle con altre informazioni che ha fornito loro o che hanno raccolto dal suo utilizzo dei loro servizi.
Necessari
Statistiche
Accetta tutti Accetta selezionati Rifiuta
Impostazioni cookie
Necessari
Questi cookie sono richiesti per le funzionalità di base del sito e sono, pertanto, sempre abilitati. Si tratta di cookie che consentono di riconoscere l'utente che utilizza il sito durante un'unica sessione o, su richiesta, anche nelle sessioni successive. Questo tipo di cookie consente di riempire il carrello, eseguire facilmente le operazioni di pagamento, risolvere problemi legati alla sicurezza e garantire la conformità alle normative vigenti.
Statistiche
I cookie statistici aiutano i proprietari del sito web a capire come i visitatori interagiscono con i siti raccogliendo e trasmettendo informazioni in forma anonima.