Imparare dall'esperienza Covid: come dovrebbe cambiare la medicina territoriale?

 

di Antonello Zangrandi

Il gruppo di professionisti insieme a cui lavoro da molti anni (in Progea, nel Joint Commissioni Italian Network e nel gruppo Ri.For.Ma. dell’Università di Parma), interrogato sul tema è stato chiarissimo: la medicina territoriale deve cambiare.  Troppi problemi, tanti già si conoscevano, molti sono venuti alla luce.

Noi che ci occupiamo di organizzazione dei servizi sanitari diciamo che in questo periodo emergenziale non è mancata la professionalità, ma il coordinamento.  Sì, il problema principale della medicina territoriale è proprio quello di coordinarsi con tutti gli altri attori del sistema.  Il coordinamento non è ovvio e naturale, è frutto di un’organizzazione che funziona: di leader che sanno dare indicazioni, programmare, progettare; di sistemi di passaggio rapido di informazione; di procedure “provate sul campo”; di scambi di esperienze, consigli, linee guida; di progetti verificati e diffusi e di molto altro ancora.

Il coordinamento non è frutto di volontà (certo la volontà è necessaria anche se non sufficiente) ma di strumenti operativi. Molto è scritto sugli strumenti di coordinamento, ma purtroppo poco è praticato.

La necessità del coordinamento nella medicina territoriale è amplificata almeno da tre fattori:

I medici di famiglia, figura sicuramente fondamentale della medicina territoriale, molto spesso operano da soli: non vi è dubbio che la solitudine aumenti la necessità di coordinamento e non favorisca l’integrazione delle competenze;
La presenza di altre figure professionali, come ad esempio gli infermieri, si affaccia in alcuni processi operativi ma lo spazio e l’autonomia di queste figure è tutta da ridefinire;
La dispersione geografica, inevitabile, avvicina giustamente al bisogno ma fa sì che la medicina territoriale necessiti, a maggior ragione, di coordinamento.


LA NECESSITA’ DI UNA RIFORMA ISTITUZIONALE
Cosa fare in questa situazione?

Crediamo sia necessaria una riforma istituzionale che non solo destini maggiori risorse alla medicina territoriale, ma che anche generi condizioni di coordinamento e collaborazione tra tutti gli operatori per favorire processi forti di continuità assistenziale. Nuove risorse senza una nuova organizzazione generano solo sprechi!

La riforma dovrebbe contemplare:

  • nuove figure professionali, sicuramente gli infermieri;
  • nuove modalità di coordinamento della medicina di famiglia con le altre professionalità specialistiche della rete, in particolar modo quella ospedaliera;
  • migliori sistemi di integrazione con gli altri livelli di assistenza (prevenzione, domiciliare, residenziale);
  • integrazione legata non solo ad una forte informatizzazione, con tutte le forme che possono giovare alla presa incarico, ma anche modalità operative concrete di collaborazione, come la presenza dei medici di famiglia e di chi opera sul territorio nelle strutture di ricovero e cura per l’aggiornamento delle competenze e nei Pronto Soccorso per arginare l’inappropriatezza della domanda, l’apertura dei servizi su archi temporali maggiormente orientati alle esigenze della popolazione etc..;
  • attivazione di sistemi di valutazione delle performance assistenziali e qualitative per apprendere, e non solo per incentivare economicamente senza riscontri oggettivi dell’efficacia delle azioni poste in essere.

UN MODELLO INTEGRATO
L’organizzazione della medicina territoriale dovrà essere gestita e non abbandonata al suo destino, dovranno essere messi in campo tutti gli strumenti di coordinamento ed integrazione possibili, che non devono diventare burocrazia (bisogna fare così perché lo dice l’azienda o l’agenzia sanitaria), ma modalità di lavoro (bisogna fare così perché rispondo ad una esigenza del paziente).

In un modello integrato è indispensabile che i professionisti si conoscano, si frequentino, possano anche lavorare insieme.  Per questo occorre che le occasioni di lavoro comune e progetti comuni si intensifichino.

Infine, occorre valutare: senza valutazione non si impara. La valutazione non deve essere legata solo all’incentivazione economica, occorre essere valutati per imparare, l’apprendimento passa anche dal riconoscere gli errori e dal confronto tra professionalità.  Occorre che le buone prassi si diffondano e le buone prassi si conoscono solo se si valutano le attività e i risultati.

Se queste sono le basi del cambiamento istituzionale della medicina territoriale, un compito molto importante spetta a chi decide: i nostri politici.  Questa riforma istituzionale è indispensabile, urgente e richiede determinazione. I risultati, ottenuti laddove la medicina territoriale è stata in grado di meglio affrontare l’emergenza in atto, devono divenire un punto di riferimento da cui partire a livello nazionale.

Inoltre, si deve ricordare che se le organizzazioni locali non imparano e non sono guidate da persone di valore, difficilmente si avranno buoni risultati. Quindi un auspicio: sì alle riforme, ma si scelgano persone di valore con competenza e leadership per guidare questo cambiamento.

 

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