Il tempo dei manager in sanità. Lo stato dell’arte a 30 anni dalla riforma del ’92.

 

Nel 2022, a 30 anni dalla riforma che ha creato la sanità italiana così come la conosciamo oggi, è interessante interrogarsi sul funzionamento di una delle innovazioni che furono introdotte: il management professionale.

Con la riforma sono stati introdotti molteplici contenuti manageriali, dalla direzione strategica, al sistema di valutazione, ma particolare rilevanza sicuramente è quella che ha assegnato un ruolo manageriale al “Direttore di Struttura Complessa” (DSC). Questa figura sostituiva le funzioni che fino a quel momento erano proprie del primario di reparto e ne introduceva di nuove, responsabilizzandolo anche da un punto di vista economico (gestione delle risorse, programmazione, ecc.

Le funzioni che ha assunto il DSC sono frutto di un dibattito relativo alla riforma, che negli anni Novanta si era concentrato, fra l’altro, su uno specifico punto: chi dovesse essere il soggetto titolare delle responsabilità manageriali (attività di direzione, gestione di risorse economiche, ecc.)  connesse con la gestione dell’organizzazione.

Questa figura, oltre a mantenere i propri obblighi clinici, ha infatti l’onere di gestire l’unità affidata, sia dal punto di vista dell’attività direzionale che di gestione delle risorse, siano esse umane o economiche. Una condizione particolarmente complessa nel nostro Paese: un professionista che, pur continuando a svolgere attività specialistica, assume un ruolo propriamente manageriale.

Come sono svolte oggi le funzioni manageriali e qual è l’equilibrio tra specializzazione e managerialità? 

Su questo aspetto, il Team Ri.For.Ma. ha condotto una ricerca, di seguito rappresentata, che si prefigge l’obiettivo di descrivere la situazione negli ospedali pubblici.

1.     Il DSC: una figura ibrida.

Il DSC nasce come figura ibrida. Un professionista che ha maturato competenze manageriali e possiede due anime professionali: quella tecnica e quella manageriale. Si tratta di un caso pressoché unico nel nostro Paese.

La sanità rappresenta forse il settore dove maggiormente questo tipo di figura è desiderabile. Dato l’elevato livello di complessità e di specializzazione sanitaria richiesta ai professionisti sanitari, colui (o colei) che dirige l’unità non può che essere egli stesso un professionista sanitario. Questo porta alla conclusione che DSC di anestesia, non può che essere un anestesista, il DSC di chirurgia un chirurgo, e così via.

In virtù di questa conclusione, si sono individuate diverse attività che può svolgere un responsabile di struttura complessa. Queste rispecchiano appieno le due anime professionali descritte sopra:

a.     Attività clinica direttamente connessa alla professione (attività clinica o di ricerca);

b.     Attività clinica di direzione dei colleghi (attività manageriale);

c.     Attività non clinica non specialistica (attività manageriale);

d.     Relazioni interne alla UO (attività manageriale);

e.     Relazioni esterne alla UO (attività manageriale);

f.      Attività di ricerca, formazione e aggiornamento (attività clinica o di ricerca).

Al fine di rispondere alle domande poste dalla ricerca e capire che cosa fanno concretamente i DSC degli ospedali pubblici italiani è stato somministrato loro un questionario, chiedendo quanto tempo dedicano alle singole attività evidenziate nella loro settimana tipo e se reputano adeguato tale tempo.

2.     Quali evidenze?

L’analisi dei risultati, come si evince dalla tabella 1, mostra come i DSC dedichino in media il 60% del loro tempo a svolgere attività di natura manageriale, mentre il restante 40% viene ripartito fra l’attività clinica (circa 30%) e l’attività di ricerca e formazione (circa 10%).

La variabilità fra le medie relative alle singole attività analizzate è relativamente bassa (circa 5%) e comunque simile su tutte le attività, nonostante la diversa estrazione per collocazione geografica, dimensione e tipologia di unità operativa, anni di esperienza dei rispondenti al questionario.

 


L’analisi della valutazione della adeguatezza del tempo dedicato ad ogni attività suggerisce che per la maggior parte degli item indagati, il tempo viene considerato adeguato. Fanno eccezione le attività non specialistiche o clinico-assistenziali, per cui il tempo dedicato è considerato decisamente eccessivo, e le attività di ricerca e formazione, il cui tempo è considerato insufficiente da quasi il 70% del campione.

 


3. Quali differenze

Un approfondimento sulle differenze riscontrate mette in evidenza risultati interessanti.

      3.1. L’influenza della collocazione geografica. Esiste una cultura organizzativa  comune?

L’analisi ha tenuto in considerazione la provenienza dei rispondenti. Tre macro-categorie geografiche sono state identificate, basandosi sui canoni ISTAT: (1) nord, (2) centro, (3) sud e isole.
I risultati mostrano una variabilità relativa inferiore al 5%. Questo denota un andamento simile per ciò che concerne le risposte alle domande del questionario in tutte le macro-categorie. Un’ipotesi per giustificare risultati così simili indipendentemente dall’area considerata, potrebbe essere l’esistenza di una cultura organizzativa comune pubblica, formatasi sulla base del SSN e dei contratti di lavoro.
Questo risultato, a primo impatto, potrebbe stupire il lettore. Il sistema sanitario italiano è considerato da molti la sommatoria di 21 diversi sistemi sanitari regionali e provinciali in seguito alla riforma del 2001, e il fatto che la differenza riscontrata sia pressoché nulla sembrerebbe suggerire come le politiche regionali hanno un impatto limitato sull’attività dei DSC.

    3.2. L’influenza della specializzazione dei rispondenti: diversi modelli?

L’analisi condotta ha inoltre “spacchettato” il campione sulla base della specializzazione dei rispondenti. In linea di massima, per quasi tutte le specializzazioni, la variabilità registrata fra le risposte cade in un intervallo che va dal 3% al 9%, quindi sostanzialmente bassa.
Tuttavia, emerge come i DSC chirurghi assumano posizioni talvolta diverse in maniera significativa rispetto al resto del campione. La tabella 3 dà contezza di tali risultati.

 


Emerge chiaramente come i DSG di chirurgia (che costituiscono il 18,02% del campione totale di riferimento) facciano molta più attività clinica dei colleghi di altre UO, complice forse una cultura più indirizzata all’attività clinica e al “voler stare in sala” .
Non emergono, invece, sostanziali differenze sul giudizio in merito all’adeguatezza del tempo dedicato alle singole attività.

     3.3. L’influenza delle dimensioni delle UO: grande o piccolo non conta?

Anche per ciò che concerne la dimensione delle UO la variabilità è sostanzialmente bassa, non superando il 5%. Non ci sono elementi sufficienti per poter parlare di differenze sulla base della dimensione delle UO indagate, tuttavia la mancanza di variabilità, fa emergere che evidentemente i meccanismi di coordinamento organizzativo sviluppati nelle grandi organizzazione sono basati sulla delega ad altri colleghi proprio per preservare una attività specialistica.

Spunti di riflessione.

Dall’analisi dei risultati emergono alcuni spunti di riflessione:
a. A 30 anni dalla riforma del 1992, c’è un più forte orientamento manageriale. Emerge chiaramente come i DSC spendano la maggior parte del loro tempo a “fare i manager”. Le differenze fra le diverse tipologie sono, tranne che in qualche caso, limitate.
Rispetto agli anni Novanta e ai primi anni 2000, analizzando la letteratura dell’epoca, sembrerebbe come i manager clinici (cioè i DSC) facciano effettivamente molto di più i manager che i clinici. Tale risultato rappresenta un’innovazione importante e suggerisce alcuni spunti di riflessione per il futuro, come ad esempio: qual è l’influenza esercitata dalle istituzioni su questo cambiamento di prospettive e come la formazione obbligatoria introdotta dalla riforma abbia effettivamente influito su tale aspetto.
b. L’impatto dei sistemi regionali sembra essere ridotto al minimo quando si tratta di management. Infatti, la scarsa variabilità riscontrata fra le diverse regioni del nostro Paese suggerisce l’esistenza di una cultura organizzativa comune. Anche qui occorrerebbe indagare quanto la formazione abbia influito su tali comportamenti.
c. La unità operative chirurgiche sembrano orientarsi ancora verso un approccio più “clinico” e meno “manageriale” all’organizzazione della UO. I DSC di unità chirurgiche non fanno mistero della loro preferenza a passare più tempo possibile in sala operatoria, a discapito delle funzioni manageriali, sebbene il proprio ruolo imponga un maggiore orientamento agli aspetti manageriali
È quindi possibile concludere che a 30 anni dalla riforma, lo spirito con cui la legge è stata scritta è stato rispettato, con diverse sensibilità rispetto alle specializzazioni. La creazione di corsi ad hoc, obbligatori per questa categoria di professionisti, non può che aver incrementato questo trend, orientando le aziende sanitarie pubbliche verso una visione più manageriale.


Come abbiamo condotto la ricerca: il metodo.

Per fare luce sull’attività del management sanitario occorreva capire quali attività ritengono di dover svolgere i Direttori di Struttura complessa e quali attività attualmente stanno svolgendo.
Al fine di identificare le attività che il middle-management ospedaliero dovrebbe prioritizzare, è stato condotto un focus group con esperti del settore. Questo ci ha permesso di confrontare la situazione prospettata dai rispondenti con la realtà effettiva tali attività attraverso un questionario somministrato direttamente ai DSC.
La ricerca è stata quindi divisa in due fasi: (1) creazione di un questionario partendo da focus group e (2) analisi dei risultati del questionario e formulazione di alcuni spunti.
Le attività identificate sono quindi state codificate in item del questionario, descritti nelle tabelle della sezione sopra. Il questionario è poi stato inviato a un campione formato da tutti i DSC in Italia (circa 6.000), ottenendo 1.215 risposte (con un tasso di risposta di oltre il 20%).
La seconda parte consisteva nella formulazione e somministrazione di un questionario. Questo, suddiviso in due parti. Una prima parte anagrafica, in cui sono stati raccolti i dati dei rispondenti, e una seconda parte formata da due domande volte a indagare: (1) quanto tempo i DSC dedicassero all’attività e (2) come ritenessero adeguato tale tempo.
L’analisi di queste domande ha prodotto i risultati descritti sopra e ci ha portato a formulare alcuni primi spunti di riflessione.

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